04 Ott Morgan Neville presenta Yo-Yo Ma
Il regista Morgan Neville, premiato con l’Oscar per il film 20 Feet from Stardom, ricorda con grande piacere tutti gli accadimenti che lo hanno portato dietro alla macchina da presa per la realizzazione di Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta. In un’intervista realizzata per Moveablefest (disponibile in lingua originale qui), Neville ripercorre le tappe di questa collaborazione.
Allora, quando sei stato contattato per il film, ti è stato proposto un film su Yo-Yo Ma o sul Silk Road Ensemble?
All’inizio abbiamo discusso della possibilità di fare un “semplice” film concerto, e in effetti sono finito a girarne uno, che però non è questo film. Allo stesso tempo, ci siamo detti, “bene, ora facciamo anche un documentario”. Doveva essere un film sul Silk Road Ensemble: ma di cosa tutto ciò volesse dire, non avevo semplicemente idea. Sapevo che c’erano buoni personaggi, musica interessante e grandi idee, ma c’era ancora un elemento che mancava, e che speravo di trovare. Più documentari faccio, più mi è facile arrivarci – credere di trovare quel qualcosa, anche se non sai di cosa si tratta. È la parte divertente del fare documentari. Se sai esattamente cosa accadrà prima che tu li faccia, probabilmente non verranno bene perché il mondo reale offre davvero tante sorprese. Devi iniziare con un’idea, quindi essere disposto a riadattarla se non addirittura a metterla da parte.
Eravate consapevoli che sarebbe stato un viaggio così lungo?
L’idea non era quella. Per i primi due anni ho fatto riprese sporadiche, necessarie per capire quale forma il film stesse assumendo. Abbiamo dovuto raccogliere i fondi per fare il film; una volta ottenuti, abbiamo fatto le riprese e tutto il montaggio in circa un anno e mezzo. Così, anche se ci abbiamo messo quattro anni e mezzo, buona parte del lavoro è stata fatta in diciotto mesi.
Non esisteva molto materiale sulla Silk Road Ensemble, vero? Credo che sia la prima volta che questa straordinaria storia viene raccontata…
No, infatti, e siamo stati fortunati a recuperare qualche materiale proveniente dal 2000. La PBS [azienda pubblica che si occupa di trasmissioni televisive] aveva mandato una troupe a girare un filmato breve, ma avevano conservato tutto il girato. Da documentarista, definisco questo un vero e proprio colpo di fortuna. Mai avrei immaginato di incontrare simili materiali quando ho iniziato a lavorare al film. Ci sono stati altri sporadici ritrovamenti, ma hai ragione, nessuno aveva mai girato un film su di loro. Per noi è stata una fortuna.
Il Silk Road Ensemble è un gruppo molto grande. Hai però scelto di concentrarti solo su alcuni componenti. Che cosa ti ha portato a scegliere proprio loro?
Li abbiamo scelti non solo perché avevo bisogno di avere personaggi diversi tra loro – per sesso, provenienza, esperienze – ma anche perché, allo stesso tempo, i loro percorsi dovevano comunque somigliarsi, in modo tale da permettere al film di condurre un discorso coerente. Il materiale girato era molto più esteso di quello che si vedrà al cinema; è stato scartato non perché privo di interesse, ma perché avrebbe tolto spazio e forza alla musica. Volevo che la musica, in questo film, avesse più spazio possibile. All’interno del gruppo c’erano anche musicisti, con alle spalle storie ugualmente interessanti, ma troppo distanti da quelle degli altri. Per esempio, Sandeep Das, il suonatore di tabla: una gran persona, davvero fantastica. Vive a Boston, e la sua famiglia è meravigliosa. Ho però dovuto dirgli che non sarebbe stato uno dei protagonisti della storia. Gli ho detto: “Ho una notizia buona e una cattiva. La brutta è che non farai parte del film. La buona: ti ho eliminato dal film perché hai una vita così felice che non c’è nessuna tensione drammatica, e dovresti esserne davvero felice”. Senza dubbio, gli artisti che ho scelto sono quelli con il percorso più travagliato. È divertente, se ci ripenso. Quando abbiamo iniziato il film, il commento più frequente era “C’è per caso qualche dramma in questa storia?”; la prima idea che ci si fa è che Yo-Yo abbia messo insieme un gruppo di musicisti e kumbaya. Non è assolutamente così, la realtà delle cose è infinitamente più complessa.
Nella scena in cui i musicisti si esibiscono insieme a Istanbul per la prima volta, sei “dentro” la performance in un modo che nemmeno capisco come sia fisicamente possibile. Avevi già qualche idea in mente su come avresti catturato quei momenti?
Vorrei dirti di sì, ma tutto è stato perlopiù frutto dell’istinto. Sapevamo già che ci saremmo dovuti muovere molto. Quella scena d’apertura è stata girata con due macchine da presa: io riprendevo con una, l’altra era una steadycam. Il gruppo ha suonato la canzone e, una volta finita, ho pregato di avere una buona scena tra le mani. Subito dopo è scoppiato un temporale. Il tutto è stato un po’ snervante, ma quando abbiamo visto il girato, siamo stati contenti del risultato.
I tuoi film spesso crescono d’intensità, con scene che normalmente non fanno parte di un documentario. Da dove proviene questo approccio?
Spesso assemblo un film come se stessi mettendo assieme delle tracce musicali. Di solito metto giù una lista di scene, e se sto facendo un documentario musicale cerco di lavorare allo stesso modo con le canzoni, in modo da trovare la combinazione perfetta di brani per raccontare. Le scene vengono concepite come canzoni. Serve equilibrio: prima una canzone allegra, poi una ballata. È tutta questione di suoni, di emozioni.
Hai detto che questo film racchiude molto di quello che intendevi dire sulla musica e che, visto che fai documentari musicali da molti anni, stai aprendoti a nuovi interessi. Questo ti porterà a cambiare il tuo approccio nei confronti del cinema, o della musica?
Per me il discorso non è cinematografico, o musicale, ma culturale. Come regista, sento che ciò che affrontato è simile a quello che Yo-Yo ha affrontato come musicista. Spesso i documentari sull’arte, o sulla cultura, sono considerati meno seri e importanti, quindi non vengono finanziati. Yo-Yo ma, invece, spiega come la cultura sia essenziale per definire ciò che siamo – esattamente la mia stessa sensazione, come regista. Quindi continuerò sicuramente a fare film sulla cultura; per quanto riguarda la musica, credo di aver fatto così tanti film musicali, tutti diversi tra loro, che, proprio come Yo-Yo, sento la necessità di qualcosa di diverso, che mi entusiasmi. Ho tanti progetti in corso in questo momento, e nessuno di loro è legato alla musica. Non vi anticipo nulla: vedrete.
Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta, distribuito in Italia da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection, uscirà nei cinema italiani il 24 novembre.
Morgan Neville inizia la carriera come giornalista a New York e San Francesco, per poi intraprendere la carriera cinematografica dal 1993. Debutta come regista nel 1995, con il documentario Shotgun Freeway: Drives thru Lost L.A.. È stato nominato ai Grammy per i film Muddy Waters: Can’t Be Satisfied, Respect Yourself: The Stax Records Story e Johnny Cash’s America. Nel 2014 riceve il Premio Oscar come miglior documentario per il film 20 Feet from Stardom.